«Sento la responsabilità della storia, sento che devo tenere un atteggiamento d’avanguardia», dice il presidente e amministratore delegato di Flos Piero Gandini. Parola d’ordine investire: su ricerca, design, tecnologie per il risparmio energetico. E allora, spazio ai Led e alla soft architecture. Altro che anni bui…
Oggi per Flos sarebbe molto più semplice fare solo prodotti di un certo tipo: con meno ricerca, meno innovazione, a esperienza progettuale ridotta. Il marchio per posizionarci lì ce l’abbiamo. Invece restiamo su progetti ad alto contenuto di design.
Perché?
Perché se no non sarei più Flos. Sarei il ramo decadente di Flos. Quelli che hanno cominciato se la giocavano tutti con coraggio. E io, oltre al piacere di fare, sento la responsabilità della storia, che metta in cantiere il mega progetto di Starck o quello di un perfetto sconosciuto. Sento che devo tenere un atteggiamento d’avanguardia.
Quindi…
Investo. Flos è un’azienda sana.
I numeri che cosa dicono?
Di questi tempi abbiamo un calo contenuto del design, e invece un calo molto più deciso della parte tecnica. Due le ragioni: la parte tecnica incrocia il mondo dell’edilizia (in netta flessione), e in più si lega a un mercato in crisi come quello spagnolo.
Tecniche di difesa?
Se il riferimento è ai listini, non li abbassiamo. Li ripensiamo per il futuro, semmai. Ma questo è solo tattica, normale gestione…
La strategia, invece?
Tengo alto il rischio progettuale e investo su idee forti. Prenda Teca, eccola qui. Se voglio farla uscire al prezzo di 98 euro non posso produrla in Italia: costerebbe 8 volte di più, non il doppio…
Tutta colpa dei cinesi?
Macché. Noi abbiamo cantato negli anni 60, 70 e parzialmente 80. Avevamo più fame degli altri e costavamo meno. Adesso tocca a loro. Questa cosa si chiama ridistribuzione della ricchezza. Certo va regolata. Tre punti su tutti: condizioni e costo del lavoro e rispetto dell’ambiente. Così potranno evitare errori già fatti dall’Occidente.
Dicevamo di Teca, com’è nata?
Ero a New York e un’amica mi ha detto che dovevo andare a trovate un certo Ron Gilad. Mi sono trovato in un posto pieno di tutto e di niente, di fronte a uno dal pensiero assolutamente astratto. “Guardi che io non voglio fare i soldi… Guardi che io non voglio fare il designer”, diceva. Comunque mi ha attratto una teca di vetro. Insieme abbiamo pensato di convertirla in una storia dell’abat-jour… Tante teche di vetro con dentro tante luci diverse. Con un’etichetta che le identifica, proprio come fossero pezzi museificati. Etichetta che è anche dimmer. E non è detto che sotto vetro non possano andarci le luci degli altri. A me piacerebbe mettere in questa antologia anche pezzi eventuali di concorrenti. Ma non so se me lo permetterebbero…
Si dice che la sostenibilità apra spazi all’economia…
E infatti stiamo investendo sulle fonti di risparmio energetico, la vera priorità. Tra le altre, sulla fonte a Led. È vero che costa infinitamente più cara dei tubi fluorescenti. È vero che ha un problema di calore da smaltire e di stabilità di colore nel tempo. Ma sono cose che si risolvono.
Un esempio?
La Kelvin di Antonio Citterio studiata con Toan Nguyen, una luce fantastica. Guardi che lavoro sulla testa: selezione del Led, selezione della qualità, sviluppo di un integrato con l’efficienza necessaria e studio della dissipazione termica. Un conto è prendere una lampada che esiste e cambiare la fonte. Altra cosa è ragionare su un’idea nuova come ha fatto Antonio Citterio.
E un progetto d’avanguardia, quale indicherebbe?
Skin di Paul Cocksedge, una luce nata per il Led. Completamente bidimensionale. Si tratta di un semplice foglio di metallo, una superficie che dissipa calore. E così il dissipatore che diventa motivo di design, tema dell’oggetto. Siamo passati dal pallottoliere al computer…
Cioè?
Una volta eravamo carrozzieri e per certi versi lo siamo ancora. Ma in modo diverso: la materia tende a sparire o a integrarsi con l’architettura, quindi il nostro ruolo va reinterpretato. Dobbiamo dedicarci anche alla parte immaterica della luce.
Un’azienda come la vostra che ha in catalogo la storia dove finisce?
Stiamo sviluppando Arco in versione Led. Quello che si può convertire lo convertiamo, certo non gli cambiamo la testa. Tutto nel rispetto del disegno originario. Taccia, l’icona anni Sessanta di Achille e Giacomo Castiglioni, per il Led è proprio perfetta… E comunque sono convinto che tutto il lavoro sulla materia lo potremo trasferire alla immatericità della nuova fonte.
In che senso immaterica?
Esiste una nuova possibilità di applicazione creativa rispetto a quella puramente artigiana. Oggi con i programmatori si può lavorare sulla dinamica espressiva della luce in quanto tale. Lo stesso lavoro dell’artista Jenny Holzer, pur restando culturalmente e politicamente uguale a se stesso nel tempo, può fruire di nuove tecniche. Concettualmente, le strisce presentate nella recente mostra al Whitney Museum di New York sono uguali a quelle che montava una volta in Times Square o sul Guggenheim. Cambia l’ampiezza espressiva. Sì, la programmazione offre possibilità infinitamente superiori.
Diceva della luce integrata nell’architettura…
Alzi gli occhi, guardi qui: forme convesse e nere che escono con naturalezza dal muro. Oggetti morbidi e organici….
Se ne voglio uno, che cosa compro?
Un modulo di cartongesso. La tecnologia è stata sviluppata in Belgio da una società che si chiama Under-cover. La licenza di riproduzione nella luce l’abbiamo acquisita a marzo di quest’anno. Hanno pensato un materiale fatto di 18 elementi biodegradabile con il quale si può creare qualsiasi forma concava o convessa».
Non si spaventa la gente?
Finora ci è bastato lasciarli qui, al -1 del Professional Space. Non c’è studio di architettura che non ci abbia chiamati.
In catalogo non li ho visti…
Questa è un’altra storia. Possiamo offrire una quantità di prodotti infinita a una velocità altissima. 8.000 pagine non basterebbero e diventerebbero subito vecchie. Quindi mettiamo tutto su un sito allo studio. Una cosa ispirazionale da aggiornare quotidianamente.
Un bell’affare per il contract…
Direi di sì: un po’ interpretiamo la materia, un po’ interpretiamo la luce in quanto tale. Lo spazio è immenso e sul gusto c’è ancora tanto da fare. Basta essere consapevoli di certi rischi.
Quali?
Se dislochiamo la parte della manifattura si disloca anche l’asse creativo. A mano a mano che l’asse produttivo si sposta in Cina, anche la parte creativa va là. Se perdi la cultura del fare perdi anche la creatività. Insomma, la creatività è qui, perché qui c’è la gente che sa fare le cose. Una volta che la produzione emigra, si allontana sempre di più il tavolo della discussione. Per questo credo che sia necessario equilibrio. Valutare la dinamica della storia, che ridistribuisce ora la ricchezza a Est, e insieme considerare che delocalizzare significa perdere sapienza e capacità creativa, quindi va fatto il meno possibile. Per ora il design resta qui.
Dica qualcosa sul Made in Italy…
Un nome, Antonio Citterio, resterà a lungo il cemento del design italiano. Una pietra miliare. Se analizza quello che ha messo, è impressionante per livello di consistenza e di capacità.
ggi per Flos sarebbe molto più semplice fare solo prodotti di un certo tipo: con meno ricerca, meno innovazione, a esperienza progettuale ridotta. Il marchio per posizionarci lì ce l’abbiamo. Invece restiamo su progetti ad alto contenuto di design.
(l’intervista è stata tratta dal sito corrierecasa)